Il passaggio generazionale dell’azienda è un fenomeno spesso sottovalutato in Italia, che, se non accuratamente e tempestivamente pianificato, può condurre ad una crisi aziendale, se non addirittura al suo fallimento.
Dati statistici alla mano evidenziano che le imprese attive presenti sul territorio italiano sono 4,4 milioni (fonte Istat 2022). Il 99,9% di queste è rappresentato dal comparto delle piccole medie imprese (PMI), le quali rappresentano la struttura portante dell’intero sistema produttivo nazionale e spesso portatrici di importanti storie imprenditoriali.
Il modello di business prevalente tra le PMI è quello dell’impresa familiare, facente capo ad una o più famiglie, la cui gestione e le cui decisioni vengono assunte dall’imprenditore-titolare, senza il coinvolgimento di manager esterni.
È inoltre radicata tra gli imprenditori italiani la consuetudine di mantenere il controllo dell’azienda sino a tarda età, rendendo così problematica la programmazione del futuro dell’impresa di famiglia.
Quando si affronta la tematica inerente il passaggio generazionale dell’azienda, è necessario quindi porre l’attenzione sulle tre figure principali:
la sua azienda.
Una buona pianificazione non può prescindere dalla comprensione delle logiche e delle problematiche sia imprenditoriali (struttura societaria, ruoli, poteri etc.), che familiari (rapporti personali, esigenze patrimoniali, etc.).
Purtroppo, le conseguenze di una gestione inefficace del passaggio generazionale possono essere talvolta drammatiche: si stima, infatti, che solamente il 20% delle imprese familiari sopravvive alla seconda generazione, il 13% arriva alla terza generazione e solo il 4% delle aziende arriva alla quarta generazione.
Nell’affrontare il passaggio generazionale di un’azienda, l’istituto del trust, a confronto con altri strumenti giuridici precedentemente utilizzati, quali il patto di famiglia o la creazione di una società holding, spicca, grazie al suo elevato grado di affidabilità, di versatilità e di flessibilità, risultando il più adatto strumento per cercare di raggiungere un equilibrio tra gli interessi dell’azienda e gli interessi della famiglia.
A differenza del trust, il patto di famiglia, è un atto pubblico plurilaterale con il quale viene contrattualizzato il trasferimento della titolarità dell’azienda, o delle partecipazioni sociali, a favore di uno o più discendenti diretti del disponente (c.d legittimari assegnatari), che hanno l’obbligo di liquidare una somma - pari al valore delle quote di legittima spettanti – ai c.d. legittimari non assegnatari,
I limiti, che rendono questo negozio giuridico nei fatti molto ‘rigido’ e poco utilizzato, sono i seguenti:
Con lo strumento del trust, invece, è possibile al contempo:
Alcuni esempi di utilizzo del trust sono i seguenti:
Questo esempio può applicarsi a tutti quei casi in cui l’imprenditore che non è in grado di comprendere chi tra i propri eredi sia effettivamente destinato – per vocazione o predisposizione personale – a prendere le redini future dell’azienda e chi invece non ne ha l’interesse o l’attitudine. Oppure può trattarsi del caso in cui il disponente muoia prima che i propri eredi siano pronti, magari per ragioni anagrafiche, alla gestione aziendale.
La legge non prevede preclusioni circa la possibilità di conferire in trust anche soltanto la nuda proprietà delle partecipazioni sociali, consentendo quindi all’imprenditore-disponente di godere dei frutti prodotti dal fondo in trust, consolidando successivamente, in capo al trustee, al momento della scomparsa del disponente, il diritto di piena proprietà della partecipazione.
In relazione agli aspetti fiscali, è interessante evidenziare come anche le istituzioni abbiano cercato di intervenire con agevolazioni fiscali e norme per favorire il passaggio generazionale delle aziende di famiglia. Tra le più interessanti previsioni legislative emerge l’articolo 3, comma 4-ter, D.Lgs no. 346/1990.
Nello specifico, per quanto attiene il trasferimento dell’azienda in trust, nonché di quote sociali e di azioni (mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ex art. 2359, 1 comma, c.c.), la costituzione del vincolo di destinazione, qualora questo sia strumentale alla finalità liberale del passaggio generazionale a favore dei discendenti e del coniuge del disponente, non è soggetto all’imposta, purché siano soddisfatte determinate condizioni poste dalla norma stessa. In particolare, è necessario che:
Con riferimento all’applicabilità dell’esenzione fiscale anzidetta, occorre precisare che nel caso di conferimento in trust della nuda proprietà di partecipazioni (di controllo) detenute in società di capitali, essa spetti solo qualora il trasferimento della nuda proprietà avvenga congiuntamente al relativo diritto di voto, mantenendo in capo all’imprenditore-disponente solo il diritto agli utili (c.d diritto di usufrutto “a contenuto limitato”).
Tale possibilità è infatti direttamente prevista dall’art. 2352, comma 1, c.c., il quale prevede che nel caso di usufrutto “il diritto di voto spetta, salvo convenzione contraria […] all’usufruttuario”.
In conclusione, si può affermare che il trust nell’ambito del passaggio generazionale dell’azienda, rappresenta uno strumento estremamente efficace di programmazione, il cui scopo è la preservazione e la continuità dell’attività aziendale, della quale il trustee si fa garante, fino al suo trasferimento ai beneficiari finali.
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