Il Trust come strumento per il passaggio generazionale dell’azienda in Italia

29
Dic, 2023

Il passaggio generazionale dell’azienda è un fenomeno spesso sottovalutato in Italia, che, se non accuratamente e tempestivamente pianificato, può condurre ad una crisi aziendale, se non addirittura al suo fallimento.

Dati statistici alla mano evidenziano che le imprese attive presenti sul territorio italiano sono 4,4 milioni (fonte Istat 2022). Il 99,9% di queste è rappresentato dal comparto delle piccole medie imprese (PMI), le quali rappresentano la struttura portante dell’intero sistema produttivo nazionale e spesso portatrici di importanti storie imprenditoriali.

Il modello di business prevalente tra le PMI è quello dell’impresa familiare, facente capo ad una o più famiglie, la cui gestione e le cui decisioni vengono assunte dall’imprenditore-titolare, senza il coinvolgimento di manager esterni.

È inoltre radicata tra gli imprenditori italiani la consuetudine di mantenere il controllo dell’azienda sino a tarda età, rendendo così problematica la programmazione del futuro dell’impresa di famiglia.

Quando si affronta la tematica inerente il passaggio generazionale dell’azienda, è necessario quindi porre l’attenzione sulle tre figure principali:

  1. l’imprenditore,
  2. la sua famiglia e
  3. la sua azienda.

Una buona pianificazione non può prescindere dalla comprensione delle logiche e delle problematiche sia imprenditoriali (struttura societaria, ruoli, poteri etc.), che familiari (rapporti personali, esigenze patrimoniali, etc.).

Purtroppo, le conseguenze di una gestione inefficace del passaggio generazionale possono essere talvolta drammatiche: si stima, infatti, che solamente il 20% delle imprese familiari sopravvive alla seconda generazione, il 13% arriva alla terza generazione e solo il 4% delle aziende arriva alla quarta generazione.

Nell’affrontare il passaggio generazionale di un’azienda, l’istituto del trust, a confronto con altri strumenti giuridici precedentemente utilizzati, quali il patto di famiglia o la creazione di una società holding, spicca, grazie al suo elevato grado di affidabilità, di versatilità e di flessibilità, risultando il più adatto strumento per cercare di raggiungere un equilibrio tra gli interessi dell’azienda e gli interessi della famiglia.

A differenza del trust, il patto di famiglia, è un atto pubblico plurilaterale con il quale viene contrattualizzato il trasferimento della titolarità dell’azienda, o delle partecipazioni sociali, a favore di uno o più discendenti diretti del disponente (c.d legittimari assegnatari), che hanno l’obbligo di liquidare una somma - pari al valore delle quote di legittima spettanti – ai c.d. legittimari non assegnatari,

I limiti, che rendono questo negozio giuridico nei fatti molto ‘rigido’ e poco utilizzato, sono i seguenti:

  • si tratta di un contratto al quale devono necessariamente partecipare l’imprenditore, l’assegnatario e tutti i legittimari “attuali”;
  • l discendente diretto “assegnatario” ha l’onere di liquidare, salvo loro rinuncia, i legittimari “non assegnatari” che partecipano al contratto, con una somma pari al valore della quota di legittima a questi ultimi spettante;
  • i soggetti “assegnatari” possono essere solo i discendenti in linea retta dell’imprenditore. Dunque, vengono esclusi il coniuge, i conviventi more uxorio, i fratelli, i nipoti in linea collaterale e altri parenti o affini. Pertanto, un imprenditore che non abbia discendenti in linea retta, ovvero che li abbia ma non li reputi idonei a proseguire l’attività imprenditoriale, non si potrà avvalere dei patti di famiglia ai fini della continuità e stabilità della sua azienda
  • si limita a regolare il trasferimento della proprietà dell’azienda o della partecipazione societaria, ignorando aspetti connessi alla preservazione e continuità dell’impresa, quali le scelte relative alla leadership e alla governance;
  • attua un passaggio generazionale “ad effetto immediato” e definitivo, con impossibilità da parte dell’imprenditore di modificare nel corso del tempo le sue intenzioni iniziali;
  • é assente l’effetto segregativo tipico del trust, non garantendo quindi una efficiente difesa da possibili creditori.

Con lo strumento del trust, invece, è possibile al contempo:

  • preservare un’efficiente gestione societaria;
  • garantire una continuità aziendale;
  • regolare le modalità di gestione e di esercizio dei diritti inerenti alle partecipazioni societarie;
  • tutelare l’unitarietà del patrimonio familiare (evitando così la c.d. “deriva generazionale”, la parcellizzazione delle partecipazioni e la dispersione del valore creato); e
  • tutelare gli interessi e le quote di legittima di tutti i membri della famiglia.

Alcuni esempi di utilizzo del trust sono i seguenti:

  • L’imprenditore-disponente trasferisce in trust la proprietà dell’azienda e nomina un manager che la amministri e dispone che parte degli utili vengano assegnati al nucleo familiare, fino al termine di durata del trust, momento nel quale la proprietà dell’azienda viene trasferita ai beneficiari finali (figli o nipoti).

Questo esempio può applicarsi a tutti quei casi in cui l’imprenditore che non è in grado di comprendere chi tra i propri eredi sia effettivamente destinato – per vocazione o predisposizione personale – a prendere le redini future dell’azienda e chi invece non ne ha l’interesse o l’attitudine. Oppure può trattarsi del caso in cui il disponente muoia prima che i propri eredi siano pronti, magari per ragioni anagrafiche, alla gestione aziendale.

  • L’imprenditore-disponente, che intende mantenere un’unitarietà nella gestione dell’azienda, evitando così la c.d. “deriva generazionale”, trasferisce in trust la proprietà dell’azienda (o comunque il pacchetto di controllo della stessa) sotto il controllo di un trustee professionale che nomini, secondo criteri predefiniti dallo stesso disponente, i manager aziendali (non necessariamente membri della famiglia) e distribuisca ai membri della famiglia gli utili conseguiti.

La legge non prevede preclusioni circa la possibilità di conferire in trust anche soltanto la nuda proprietà delle partecipazioni sociali, consentendo quindi all’imprenditore-disponente di godere dei frutti prodotti dal fondo in trust, consolidando successivamente, in capo al trustee, al momento della scomparsa del disponente, il diritto di piena proprietà della partecipazione.

In relazione agli aspetti fiscali, è interessante evidenziare come anche le istituzioni abbiano cercato di intervenire con agevolazioni fiscali e norme per favorire il passaggio generazionale delle aziende di famiglia. Tra le più interessanti previsioni legislative emerge l’articolo 3, comma 4-ter, D.Lgs no. 346/1990.

Nello specifico, per quanto attiene il trasferimento dell’azienda in trust, nonché di quote sociali e di azioni (mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ex art. 2359, 1 comma, c.c.), la costituzione del vincolo di destinazione, qualora questo sia strumentale alla finalità liberale del passaggio generazionale a favore dei discendenti e del coniuge del disponente, non è soggetto all’imposta, purché siano soddisfatte determinate condizioni poste dalla norma stessa. In particolare, è necessario che:

  1. gli aventi causa (coniuge e/o discendenti) proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo (nel caso di società di capitali) per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento;
  2. l’impegno alla prosecuzione dell’attività di impresa (o al mantenimento del controllo) deve essere espressamente reso dagli aventi causa contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione.

Con riferimento all’applicabilità dell’esenzione fiscale anzidetta, occorre precisare che nel caso di conferimento in trust della nuda proprietà di partecipazioni (di controllo) detenute in società di capitali, essa spetti solo qualora il trasferimento della nuda proprietà avvenga congiuntamente al relativo diritto di voto, mantenendo in capo all’imprenditore-disponente solo il diritto agli utili (c.d diritto di usufrutto “a contenuto limitato”).

Tale possibilità è infatti direttamente prevista dall’art. 2352, comma 1, c.c., il quale prevede che nel caso di usufrutto “il diritto di voto spetta, salvo convenzione contraria […] all’usufruttuario”.

In conclusione, si può affermare che il trust nell’ambito del passaggio generazionale dell’azienda, rappresenta uno strumento estremamente efficace di programmazione, il cui scopo è la preservazione e la continuità dell’attività aziendale, della quale il trustee si fa garante, fino al suo trasferimento ai beneficiari finali.

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